*** FOGLIO DI STILE DA SOSTITUIRE ***

Parrocchia San Pietro apostolo in San Pietro all'Olmo
Parrocchia Santi Giacomo e Filippo in Cornaredo
Santo Chiodo


 
il Santo Chiodo
di Milano
 


 il Duomo - cenni storici
 preghiera alla ''Madunina'' (2020)
il Santo Chiodo e San Carlo
Una delle immagini di San Carlo che più si è impressa nella memoria dei fedeli ambrosiani, tramandata da svariate opere d’arte, è quella del vescovo che devotamente porta in processione per le strade della città colpita dalla peste la croce con il Santo Chiodo, per invocare la fine del flagello e la salvezza del popolo a lui affidato.
Quella croce che fu tra le mani del santo Borromeo oggi è conservata nella parrocchiale dei Santi Gervasio e Protasio a Trezzo sull’Adda; solo occasionalmente torna a percorrere le Zone pastorali della nostra Diocesi, per esempio in occasione della solenne Via Crucis presieduta dall'Arcivescovo.
Il Santo Chiodo, infatti, è una delle reliquie più importanti e venerate in terra ambrosiana. Si tratta di uno dei ferri della Croce del Redentore, che la tradizione vuole usato dall’imperatore Costantino come morso del cavallo e in seguito donato dall'imperatore Teodosio a Sant’Ambrogio.
Custodito nel Duomo di Milano e conservato in un tabernacolo a oltre 40 metri d’altezza, nella volta che conclude in alto il coro, il Santo Chiodo è oggetto di un’antichissima e singolare liturgia nel sabato che precede la ricorrenza dell’Esaltazione della Croce (14 settembre) allorché viene prelevato dall’Arcivescovo mediante una navicella del XVII secolo (conosciuta col nome di nivola per il suo aspetto), per essere poi esposto alla devozione dei fedeli.
 
la teca del Santo Chiodo (qui già inserita nella grande croce dorata per l'ostensione e
la grande struttura simile ad un ostensorio appesa in alto (la teca con il Santo Chiodo si riconosce appena al centro: appare scura, sotto la lampada rossa)
Quando nell’agosto del 1576 le autorità proclamarono in modo ufficiale che il contagio della peste era penetrato a Milano, San Carlo si trovava fuori città, in una delle sue numerose visite pastorali. Prontamente, allora, l’arcivescovo rientrò in città per organizzare l’assistenza spirituale e materiale, mentre le autorità civili si allontanavano abbandonando un popolo impaurito e stremato.
Spogliatosi di tutto ciò che gli era rimasto, il Borromeo usò persino gli arredi e i tendaggi dell’arcivescovado per aiutare i bisognosi. Ma mentre soccorreva i malati, San Carlo non tralasciava di pregare e di far pregare, promuovendo funzioni penitenziali, celebrazioni di Messe all’aperto (perché anche coloro che non potevano uscire dalle loro case potessero assistervi), processioni pubbliche.
Frate Giacomo da Milano, uno dei cappuccini che organizzò su impulso del vescovo l’assistenza agli appestati, scriveva che a queste processioni «eravi tutto il clero regolare e secolare, scalzo e con le corde al collo». Così faceva anche «il buon Cardinale», portando egli in più un «pesantissimo Crucifisso» e terminando, dal pulpito della cattedrale, con «una così divina predica che faceva crepare di pianto gli audienti».
Si parla di clero regolare per diaconi e presbiteri che appartengono a ordini o congregazioni ("regola") e di clero secolare per gli altri, che dipendono dalla Diocesi.
San Carlo in processione
in uno dei "Quadroni" del Duomo (di Giovanni Battista Della Rovere, detto Fiamminghino)
.
Di queste processioni a Milano ne furono previste inizialmente tre, che partendo dal Duomo raggiunsero rispettivamente le basiliche di Sant’Ambrogio, quella di San Lorenzo e il santuario di Santa Maria presso San Celso. La terza (6 ottobre) fu la più solenne e drammatica, anche perché il Borromeo volle portare in quell’occasione proprio la croce con il Santo Chiodo e tutte le reliquie conservate a Milano. L’arcivescovo precedeva il popolo, come dice il Giussani, «con li piedi ignudi e con un aspetto tanto mesto e doloroso che moveva a gran pietà e pianto ognuno che lo mirava, imperocchè s’era vestito della cappa pontificia paonazza e tirato il cappuccio sugli occhi». Come infatti il Quadrone del Duomo lo ritrae con efficace espressività.
Le processioni con il Santo Chiodo proseguirono poi anche nei giorni seguenti per volontà dello stesso San Carlo che a distanza di alcuni anni, in una sua lettera pastorale, esortava i milanesi a ricordare come proprio «con quella santa reliquia, implorando la misericordia di Dio, fummo così mirabilmente e quasi all’improvviso liberati dalla pestilenza».

un po' di storia
Il primo cenno sull’esistenza a Milano di una delle più venerate reliquie della Passione di Gesù, il Santo Chiodo, risale a Sant’Ambrogio e più esattamente all’orazione funebre (25 febbraio 395) per la morte dell’imperatore Teodosio (si va indietro di mille­seicento­venti­nove anni). Ambrogio precisò che era grazie a Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, che i Chiodi della Passione erano stati ritrovati – assieme alla Croce – a Gerusalemme presso il Calvario dove erano stati nascosti dai Giudeo-Cristiani; Elena aveva lasciato in Palestina la Croce ma aveva portato a Costantinopoli (capitale dell’impero) i Chiodi. Uno di questi era stato modellato come “freno” (morso) per il cavallo del figlio e un altro come corona per il suo elmo; queste cose erano passate ai successori fino a Teodosio che ne aveva donato uno al santo vescovo di Milano (diversi storici dell’epoca riferiscono le stesse notizie).
Storia troppo vecchia per essere ben documentata e per niente documentato è il periodo successivo; bene attestata è soltanto la presenza del Santo Chiodo “ab antiquo” nella cattedrale “estiva” intitolata a Santa Tecla (inizialmente al Santissimo Salvatore) che sorgeva più o meno dove ora si trova la piazza, verso l’attuale via dei Mercanti. [Piantina]
Bisogna attendere il 1389 ("solo" seicento­trenta­cinque anni fa) per trovare una esplicita traccia documentale nel “Registro di Previsione” e poi in un decreto del 1392 di Giangaleazzo Visconti, Duca di Milano, con il quale vengono disposti certi lavori in Santa Tecla per via del massiccio afflusso di fedeli che si recavano a venerare la reliquia custodita – precisa il decreto – in un reliquiario a forma di croce posto sopra l’altar maggiore.
Ma corre l’obbligo di accennare brevemente ad ipotesi diverse da quanto precede, sul “come” il santo Chiodo sia giunto da noi: forse sottratto alla politica iconoclasta dell’imperatore Leone III Isaurico (attorno al 730) oppure arrivato con le “cose” che accompagnavano i corpi dei Magi posti in Sant’Eustorgio (attorno al 350) oppure ancora donato dall’imperatore Ottone III al vescovo milanese Arnolfo II (attorno all’anno 1000); oppure ancora, come preferiva pensare il cardinal Schuster, frutto della intensa ricerca di reliquie nel periodo crociato (1099-1291).
Per certo possiamo dire che la collocazione attuale del Santo Chiodo risale al 1461, quando (il 20 marzo di oltre cinquecento­sessanta­tre anni fa) il vescovo Carlo da Forlì con una solenne ed affollatissima processione trasferì la reliquia dalla cattedrale “estiva” di Santa Tecla (che era ormai in demolizione) al nuovo Duomo (ancora in costruzione al posto della cattedrale “invernale” di Santa Maria Maggiore, anch’essa in demolizione). La reliquia fu subito collocata in alto dove si stava ancora costruendo il coro (e dove si trova tuttora) si dice anche per sicurezza.
Lassù in alto il Santo Chiodo era certamente al sicuro e in posizione “molto bella”, ma l’essere così lontano finì per affievolirne il culto della gente.
Fu San Carlo che, in occasione dell’epidemia di peste del 1576, volle esporlo e portarlo più volte, anche personalmente, in processione. In particolare le cronache riportano la processione del 6 ottobre quando portò di persona il Santo Chiodo utilizzando una croce di legno scuro contornata da con un filo d’oro dipinto, fatta costruire allo scopo (e ora custodita nella parrocchiale di Trezzo d’Adda). E in Duomo dispose una “stazione” di quaranta ore con prediche frequenti e turni di adorazione (un po’ quello che ai giorni nostri è il Triduo del Santo Chiodo).
Il Santo Vescovo dispose anche la processione dal Duomo alla chiesa del Santo Sepolcro, ogni anno il 3 maggio (lui stesso presiedette la prima, l’anno successivo).
Ed è in questo periodo che si deve far risalire il primo modello di “nivola”, cioè quella specie di ascensore utilizzato per andare a prendere la reliquia lassù in alto e per riportarcela al termine delle celebrazioni (vedi riquadro successivo).
Ma perché il 3 maggio? Perché era il 3 maggio che nel calendario liturgico anteriore al 1969 si ricordava l’Invenzione della Croce (invenzione = ritrovamento). Tradizione vuole che sia stato in quel giorno del 326 che Elena abbia trovato la Croce (anzi tutte le tre croci del Calvario) su indicazione del rabbino Giuda, nipote di Zaccheo. Tradizione vuole anche che fra le tre croci Elena trovasse quella “vera” ponendovi sopra un morto che resuscitò (taluno dice una donna malata, che guarì). Giuda, convertitosi e battezzato è per noi San Ciriaco, protettore di Ancona. Stiamo citando fatti vecchi di oltre mille­seicento­novan­totto anni, sicché parlare di "tradizioni" è d'obbligo. A Gerusalemme, all'interno della Basilica del Santo Sepolcro (che include anche il Calvario), si trova una cappella dedicata a Sant'Elena che si vuole trovarsi nel punto dove lei trovò le croci.
Piero della Francesca, "Ritrovamento delle tre croci e verifica della Croce" - affresco (1460ca.)
chiesa di San Francesco, Arezzo
La processione resterà una tradizione milanese quasi costante; “resistendo” all’editto del Duca di Milano Giuseppe II d'Asburgo-Lorena (5 settembre 1786) ma non alla Repubblica Cisalpina (Napoleone) che proibì ogni manifestazione di culto all’aperto (2° Messidoro dell’anno VI del calendario repubblicano, che per noi è il 20 giugno 1798).
Negli anni 1981-1984 cambiò tutto per via di un intervento straordinario sui quattro piloni principali che reggono la cupola del Duomo; il Santo Chiodo fu recuperato nel 1982 con qualche difficoltà e si ricominciò l’ostensione nella Settimana Santa; poi si scelse di venerarlo in occasione della festa dell’Esaltazione della Santa Croce (14 settembre).
Anche il 14 settembre viene posto in relazione – in sordina però – ad un momento “storico”, come avveniva per il 3 maggio visto sopra. Era il 14 settembre del 627 quando l’Imperatore Eraclio sconfisse il re persiano Cosroe II e così poté recuperare la “Vera Croce” che Cosroe aveva trafugato quattordici anni prima con la conquista e distruzione di Gerusalemme. Attualmente si ritiene che la Vera Croce di Gesù sia stata frammentata e sia giunta in molti luoghi del mondo, tra cui anche a Roma nel Rione Esquilino presso la Basilica di Santa Croce in Gerusalemme.
Agnolo Gaddi e bottega, "Ritrovamento della Vera Croce", affresco (1380ca.), Basilica di Santa Croce, Firenze
descrizione: "L'imperatrice Elena per riconoscere l'autenticità della Croce dopo il suo ritrovamento la pone a contatto con un morto che resuscita"

 
Nell'immagine di destra la nivola è davanti al tabernacolo sospeso, del quale si intuiscono le dimensioni
(il grande cerchio scuro).
(un video recente )


il Triduo del Santo Chiodo (e il Rito della Nivola)
Ai tempi nostri il Santo Chiodo è ancora nella penombra della volta che sovrasta il coro a quaranta metri di altezza, con una lampada rossa che ne segnala la presenza. Ne viene fatto scendere per Quaranta Ore (più o meno) nei tre giorni (sabato/domenica/lunedì) più vicini al 14 settembre.
Dopo i vespri del sabato l’Arcivescovo (o un delegato) sale lassù con la “nivola”, inserisce la teca contenente la reliquia in una grande croce di legno e la porta al suolo come a suo tempo fece San Carlo (solitamente l'evento viene trasmesso da uno dei canali TV utilizzati dalla Diocesi).
 
Ma la croce non è la stessa di San Carlo; quella usata ai tempi nostri è un pregevole manufatto di legno dorato fatto eseguire dal cardinale Federico Borromeo nel 1624 da Guido Mangone su disegno del Cerano (Giovan Battista Crespi); reca intagliati gli strumenti della Passione e dispone di un alloggiamento nel quale collocare la teca di cristallo di rocca con guarnizioni in argento contenente il Santo Chiodo.
Il Santo Chiodo resta alla venerazione dei fedeli fino ai vespri del lunedì quando viene riportato in alto con un nuovo "viaggio" della nivola. La tradizionale processione resta all’interno del Duomo, la domenica pomeriggio.
Anche la nivola è “roba vecchia” (di quattrocento­­ anni; nella forma attuale risale infatti al 1624); naturalmente da qualche decina di anni un motore elettrico ha sostituito il motore-muscoli che stava in una cella posta al di sopra della volta dell'abside. Il rivestimento di tela che la avvolge è decorato da dipinti del 1612 di Paolo Camillo Landriani (il "Duchino") che rappresentano alcuni angeli ed è stato restaurato più volte.
 
l'interno della nivola (dal retro) e un vecchio progetto della "sala macchine muscolare"


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luglio 2020
pg. 7003 - gr.608
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