Parrocchia San Pietro apostolo in San Pietro all'Olmo
Parrocchia Santi Giacomo e Filippo in Cornaredo
Sant'Antonio di Padova

Sant'Antonio di Padova
Sacerdote e dottore della Chiesa
- memoria: 13 giugno -
statua lignea della chiesa di Cornaredo

 

In Portogallo lo chiamano "Santo António de Lisboa"; già perché è proprio là che quello che noi conosciamo come Sant'Antonio di Padova nacque il 15 agosto 1195, anche se sarebbe più corretto dire "attorno al 1195" (certe vecchie date sono tutt'altro che sicure; stiamo parlando di eventi di ottocento­venti­nove anni fa, più o meno, sicché...). E non si chiamava neppure Antonio bensì Fernando Martim de Bulhões e Taveira Azevedo, di famiglia nobile.
Il Bulhões del cognome in italiano suona "Buglione", ed infatti la famiglia era imparentata con quel Goffredo di Buglione (fiammingo) che era stato protagonista della Prima Crociata (1095/1099) ed in seguito capo del Regno di Gerusalemme, pur se aveva rifiutato il titolo di "re" preferendo quello di "difensore del Santo Sepolcro". A Lisbona, nel luogo dove era la casa natale di Fernando sorge ora la chiesa di Santo Antonio da Sé (così chiamata perché è vicina alla "Sé", cioè la Sede Patriarcale; la Cattedrale, insomma).
Patriarca e Patriarcato sono più o meno quelli che noi chiamiamo Arcivescovo e Arcidiocesi. In Europa sono solo due: Lisbona e Venezia (altrove il discorso è più complicato).
Fernando - si chiamava ancora così - a quindici anni entrò Novizio nel monastero di San Vincenzo, a Lisbona, per poi andare nel monastero agostiniano di Santa Croce a Coimbra, dove studiò fino all'ordinazione sacerdotale, avvenuta nel 1219.
Ma Fernando desiderava una vita più severa. L'occasione di cambiare venne l'anno successivo, quando giunsero a Coimbra le spoglie di cinque frati francescani uccisi in Marocco dove erano andati a predicare per incarico di Francesco d'Assisi. Fernando chiese ed ottenne di far parte dei Frati Minori e mutò il proprio nome in Antonio, in onore dell'omonimo abate egiziano.
Si tratta di quel Sant'Antonio abate che nella nostra tradizione leghiamo ai "fuochi" del 17 gennaio, la sua ricorrenza. [pagina di Sant'Antonio abate ]
Antonio avrebbe voluto andarci lui, in Marocco a predicare, ma ne fu impedito da una grave e lunga febbre malarica. Certe tradizioni accennano ad una tempesta che sospinse la sua nave verso Messina, dove fu curato dai Francescani del posto.
Divenuto ormai noto, dopo un soggiorno ad Assisi fu inviato nel minuscolo eremo di Montepaolo, nell'Appennino sopra Forlì, con il compito di predicatore e insegnante affidatogli dallo stesso Francesco. Antonio cominciò quindi a predicare non solo in Romagna ma in tutta l'Italia settentrionale e anche in Francia, in particolare combattendo le eresie del tempo ("martello degli eretici"), fino a che pose le basi della scuola teologica francescana nel convento di Santa Maria della Pugliola a Bologna.
Molto attivo, aprì nuove case, visitò conventi per conoscere personalmente tutti i frati, controllò le Clarisse e il Terz'Ordine, finché si stabilì a Padova dove in poco tempo scrisse i Sermoni domenicali e dove iniziò a vivere la vita corrente della città tenendo anche testa al feroce signorotto Ezzelino da Romano.
Intanto scrisse i Sermoni per le feste dei Santi, ma i suoi temi preferiti erano i precetti della fede, della morale e della virtù, l'amore di Dio e la pietà verso i poveri, la preghiera, l'umiltà, la mortificazione, mentre si scagliava contro l'orgoglio, la lussuria, l'avarizia e l'usura di cui era acerrimo nemico.
Su richiesta di papa Gregorio IX nel 1228 tenne certe prediche della settimana di Quaresima che - si racconta - nella gran folla cosmopolita ogni astante udì nella propria lingua.
A Camposanpiero, presso Padova, in un eremo donato da un nobile locale, visse in una stanzetta realizzata tra i rami di un grande noce dal quale predicava, scendendone per confessare (per molte ore al giorno). Si racconta che una notte il nobile locale fu attirato da una grande luce che usciva dalla celletta fra i rami: era Gesù Bambino che faceva visita ad Antonio.
A mezzogiorno del 13 giugno 1231, venerdì, Antonio pregò i confratelli di portarlo a Padova, perché si sentiva male e là voleva morire. Caricato su un carro trainato da buoi, quando arrivò in prossimità della città le sue condizioni peggiorarono e allora i confratelli lo portarono nel convento dell'Arcella dove Antonio concluse la sua esistenza terrena. Si racconta che in quel momento Antonio ebbe la visione del Signore e che in città frotte di bambini presero a correre e a gridare che il Santo era morto.
Dovere di cronaca impone di citare le beghe sorte per la conservazione delle sue spoglie, poi destinate al "suo" convento di Santa Maria Mater Domini, quello dove avrebbe voluto morire (e nella cui chiesetta il Santo era solito celebrare la Messa, predicare, ascoltare le confessioni, raccogliersi in preghiera).
Subito iniziarono i miracoli, alcuni documentati da testimoni. Anche in vita Antonio aveva operato miracoli quali esorcismi, profezie, guarigioni, compreso il riattaccare una gamba (o forse era un piede). Ad una donna aveva riattaccato i capelli che il marito geloso le aveva strappato, aveva reso innocui cibi avvelenati, era stato visto contemporaneamente in più luoghi. Curioso - se ci è consentito - l'aver fatto parlare un neonato il quale confermò di non essere "frutto del peccato" discolpando quindi la madre dalle accuse di infedeltà rivoltele dal marito.
Antonio fu canonizzato l'anno successivo alla sua morte da papa Gregorio IX e trentadue anni dopo, durante la traslazione delle sue spoglie, San Bonaventura da Bagnoregio trovò la lingua di Antonio incorrotta, ora conservata nella cappella del Tesoro presso la basilica a lui dedicata a Padova, sorta vicino al "suo" convento di Santa Maria Mater Domini.
Nel 1946 Pio XII lo ha proclamato Dottore della Chiesa, con l'appellativo di Doctor Evangelicus.
In tutto i Dottori della Chiesa cattolica sono trentasette; ultimo, dal 21 gennaio 2022, Sant’Ireneo di Lione (vissuto fra il 130 e il 202, nativo di Smirne, poi vescovo di Lione).

Fra i miracoli della vita terrena di Antonio ve n'è uno "raccontato" da una delle grandi pitture della nostra chiesa parrocchiale di Cornaredo. È il "miracolo della mula".
Si tratta di un fatto accaduto a Rimini attorno al 1222/1223 (le date di quei tempi non sono mai tanto sicure, perché si parla di fatti di ben ottocento­­due anni fa, più o meno, e mica c'erano gli strumenti e le regole di oggi). Antonio da quelle parti stava predicando in particolare la presenza di Cristo nel Pane e nel Vino consacrati, in contrasto con una particolare eresia dell'epoca.
l'affresco della chiesa di Cornaredo (sopra il Fonte Battesimale)
Capoccia degli eretici di lì era un tale Bononillo, o Bonisollo (ahi!, le cronache dell'epoca...), con cui Antonio fece una sfida singolare. Quel tale avrebbe dovuto lasciare la sua mula digiuna per tre giorni; il terzo giorno l'avrebbe condotta sulla piazza dove sarebbe stato preparato un mucchio di fieno fresco da una parte mentre Antonio avrebbe atteso da un'altra reggendo l'Ostensorio con l'Ostia consacrata. Poi avrebbero osservato il comportamento della mula.
Così fecero: fra lo stupore generale, ma soprattutto dell'eretico, la mula dapprima si avvicinò al fieno e l'annusò, poi si diresse verso Antonio e giunta davanti all'Ostensorio si inginocchiò. Il capoccia eretico "credette" e riabbracciò il Cattolicesimo.
A ricordo del fatto in quella piazza di Rimini, che ora si chiama "Tre Martiri" (all'epoca era "Giulio Cesare"), sorge un tempietto costruito nel 1518 e successivamente riedificato dopo il terremoto nel 1672 (foto a fianco).
In tempi andati nel nostro paese esisteva anche un oratorio intitolato a Sant'Antonio ("oratorio" inteso come piccolo luogo di preghiera, dal latino orare, cioè pregare). In realtà si trattava della cappella del seicentesco palazzo della famiglia Dugnani, nella omonima odierna piazzetta, della quale resta in piedi la sola torre campanaria. La cronaca della consacrazione della chiesa Santi Giacomo e Filippo (del 9 novembre 1906) indica proprio quella cappella come luogo da cui presero avvio le celebrazioni. All'interno si trovava quel grande quadro "Cristo in croce con la Madonna, Sant’Antonio e angeli" che ora è la pala d'altare della chiesetta di Santa Croce, a Cascina Croce (affidato in custodia alla Parrocchia da Italia Nostra nel 2013, dopo un accurato restauro).
Nelle foto in bianconero: quello che restava della cappella di Sant'Antonio poco prima che venisse demolita, dopo la seconda guerra mondiale, e la via Garibaldi come si presentava nel 1949 (cioè circa all'epoca della demolizione). In pratica la cappella si trovava all'ingresso del paese; evidentemente per questo le cerimonie per la consacrazione della chiesa di Cornaredo iniziarono da lì.
La foto grande è della pala collocata or sono ­undici anni nella chiesa della Santa Croce, a Cascina Croce
(proprietà della locale sezione di Italia Nostra).
Le cronache ci dicono che presso la chiesetta di Sant'Antonio era stato allestito un arco di stile gotico con la scritta Benedetto colui che viene nel nome del Signore, a segnare l'ingresso nel paese. Da quel punto la strada verso la chiesa era "tutta a sandaline" (quei drappi verticali solitamente appesi ai lati della porta della chiesa per certe occasioni); innanzi alla chiesa vi era una sorta di galleria coperta ornata con sandaline e festoni, oltre a tre piante di luminarie (cosa eccezionale all'epoca). Ma sandaline, festoni ed ornamenti erano un po' dappertutto.
A Sant'Antonio fu organizzato il "ricevimento" del Cardinal Ferrari, accolto dai notabili locali con il prosindaco Luigi Bramati (segnalato invece assente "per vecchiaia" il sindaco Giovanni Lucchini).

Anche se non c'entra nulla con le notizie su Sant'Antonio dobbiamo accennare al recente restauro (2001) della torre dell'ex palazzo Dugnani, torre che serviva alla cappella demolita.
Il restauro è stato a cura della locale sezione di Italia Nostra (che ci ha fornito le foto); nel corso della cerimonia dell'inaugurazione nel contrappeso della campana è stata posta una pergamena "per i posteri", un po' come fece don Enrico Caccia nel 1930 con il documento poi rintracciato casualmente ­quattordici anni fa grazie al quale abbiamo saputo dell'origine dei paliotti degli altari laterali nella chiesa parrocchiale.
   

La cella campanaria prima della "cura"
e la foto ufficiale del dopo restauro


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aprile 2013  (pag. 3017) - invio alla redazione di segnalazioni su questa pagina -
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gr. 3721